Marco Petrus | Roberto Dulio. Gli architetti, i pittori, la fotografia e quindici anni di mostre: introduzione a un’antologia critica
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Roberto Dulio. Gli architetti, i pittori, la fotografia e quindici anni di mostre: introduzione a un’antologia critica.

in Marco Petrus Antologica 2003-2017, Marsilio Editori, Venezia 2018

La pittura e l’architettura sono storicamente due pratiche espressive complementari e conclamate dei protagonisti della cultura artistica moderna: basti pensare a Bramante, Michelangelo, Raffaello, Giulio Romano, Vasari. Solo in epoca più recente si è assistito, almeno nel panorama nazionale, a una netta separazione di queste componenti. Con la nascita delle Scuole Superiori di Architettura – tra il 1919 e il 1933 – e poi con le Facoltà, la contemporanea frequentazione del tavolo da disegno e del cavalletto si è rarefatta, ma non si è estinta. Alcune esperienze testimoniano l’onda lunga della formazione artistica degli architetti, mentre altre confermano il riappropriarsi di una disciplina – quella della pittura o della ricerca artistica – che molti architetti contemporanei hanno ripercorso in modo autonomo.

Il laboratorio milanese conferma in epoca contemporanea la propensione al legame tra le due pratiche. Proprio all’Istituto Tecnico Superiore di Milano – che diverrà il Politecnico dove Marco Petrus si avvicinerà all’architettura – già dal 1865 viene messo a punto un accordo con l’Accademia di Belle Arti di Brera per organizzare dei corsi congiunti tra la sezione di architettura della prima istituzione e l’analogo corso della seconda. Fino alla nascita delle Scuole Superiori di Architettura molti architetti che esercitano la professione negli anni venti e trenta, e anche nei successivi, sono in realtà diplomati in Disegno Architettonico ai corsi delle Accademie. Questa situazione ha forse generato una spiccata sensibilità pittorica di alcuni degli architetti milanesi ritratti da Petrus nelle loro fattezze edificate? È difficile rispondere, ma appare significativo che altri architetti attivi nella Milano tra le due guerre sono «solo» pittori. Come Gigiotti Zanini, l’artista trentino trasferitosi a Milano che si ritrova per caso a realizzare una serie di progetti architettonici, inaugurando una pratica culminata nel capolavoro della casa Civita in piazza Duse. Allievo di Zanini sarà un ingegnere-pittore: Gabriele Mucchi, anche egli autore di architetture (poche) e quadri (tanti), che stamperà alcune sue grafiche nella stamperia – l’attività giovanile – di Petrus. Ma pittorici sono anche gli esordi di Aldo Rossi e, fuori dai confini milanesi, quelli romani di Carlo Aymonino.

Quindi un limite quello tra architettura e pittura, saldo nella dimensione costruita dell’architettura ma sfumato e ambiguo in quella della sua formulazione espressiva. Così che anche Petrus è architetto. Perché le sue opere – ci spiega Elena Pontiggia – sono delle costruzioni architettoniche dipinte. Anzi delle icone – come intuisce felicemente Fulvio Irace – della cultura architettonica milanese tra le due guerre. In special modo l’architettura «novecentista» – assai raffinato nel cogliere le sottili implicazioni di questa scelta è Guido Canella – investe inizialmente l’immaginario artistico del pittore, che la raffigura. È la stessa architettura riscoperta negli anni immediatamente precedenti da una generazione di architetti, artisti – illuminante la testimonianza di Alessandro Mendini – e intellettuali, che la sottraggono alla damnatio memoriae della critica militante.

Ma come è rappresentata da Marco Petrus questa architettura? È l’idea di mimesi – Federico Bucci – che muove l’artista, anche se Petrus sceglie di ispirarsi al mezzo più comunemente riferibile al reale: la fotografia. Ben consapevole che tale mezzo è solo erroneamente coincidente con il reale, Petrus accetta ed esalta le caratteristiche più diffuse dalla circolazione delle immagini fotografiche – sulle stampe e nei rotocalchi – dell’architettura. Lavora sulle fotografie che diventano per lui i cartoni dell’affrescatore rinascimentale. Visioni fortemente scorciate, riprese dal basso, modellate dalla luce. Più simili, nei tagli, alle immagini riprese dagli amatori di architettura più che dai fotografi, che negli anni trenta, e anche dopo, documentano l’architettura con la compostezza delle linee verticali garantite dal banco ottico. Le fotografie che ispirano Petrus sono invece sguardi dinamici, tagli che esaltano la deformazione prospettica dal basso. In questo il suo lavoro è molto distante, per esempio, da quello con cui Gabriele Basilico documenta la stessa architettura. Appare più simile a certi scorci catturati negli stessi anni trenta da un fotografo architetto come Giuseppe Pagano, col suo formato quadrato e la sua inquadratura dinamica, quasi mai preoccupato della distorsione delle linee verticale, virtuoso nell’esaltazione dei particolari. Infatti delle fotografie architettoniche Petrus finirà sempre più per prediligere il frammento.

Qualche tempo fa è emerso sul mercato un quadro giovanile di Petrus, prontamente acquisito e occultato dal suo autore, che lo ritiene acerbo e lontano dalla sua ricerca matura. Eppure quel quadro – mostrato solo dopo parecchie resistenze – rivela una coerenza commovente. È un altro frammento fotografico: un dettaglio, non ancora architettonico, ma sempre parziale, con un taglio non convenzionale, di una realtà corale più complessa (un drappello di persone) che viene solo evocata da un particolare. Scoprire che si tratta della parte inferiore di un enorme cartellone pubblicitario, all’epoca fissato su una parete urbana, è l’elemento più sorprendentemente coerente da riscontrare in un’opera d’esordio.

La presentazione nel 2003 alla Fondazione Stelline della monografia Marco Petrus di Alessandro Riva, con l’intervento di Guida Canella qui riportato, chiude formalmente la prima parte dell’attività di Marco Petrus e inaugura una rinnovata stagione. Le architetture si moltiplicano e sovrappongono – dalla fotografia alla giustapposizione dei ritagli fotografici – mentre le atmosfere sironiane cedono il passo ad architetture meno novecentiste ma ugualmente metafisiche e plastiche, connotate da un realismo dai toni sempre più accesi e dalla cromia sempre più satura.

Si moltiplicano da questa data anche le mostre internazionali: nello stesso anno a Londra: Marco Petrus London Suspended, con uno scritto di Beppe Severgnini, e nel 2005 a New York, con Marco Petrus Milano Upsidedown, curata da Alessandro Riva all’Istituto Italiano di Cultura. Upsidedown – letteralmente sottosopra, chissà se non ci sia celato anche il riferimento a una famosa canzone americana – individua una serie di opere di Petrus, inaugurata nel 2002, nelle quali uno scorcio dello stesso edificio compare nei due versi della tela, tanto che capovolgendo il quadro si ottiene la stessa percezione della scena urbana. Una percezione che esalta il carattere di frammento, di ricordo onirico, spaesato. Le due occasioni sono intervallate nel 2004 da una mostra milanese alla Fondazione Piero Portaluppi: Marco Petrus Milano Milano, con una introduzione di Philippe Daverio. Gli edifici – novecenteschi e del dopoguerra – della capitale lombarda sono ovviamente i protagonisti della mostra ospitata in uno dei capolavori milanesi di Piero Portaluppi: la casa per abitazioni realizzata dall’architetto in via Morozzo della Rocca negli anni trenta, sede del suo studio e oggi dell’omonima fondazione.

In Architettonica Petrus, curata nel 2007 da Elena Pontiggia a Como, il saggio di Matteo Brega si sofferma sul carattere onirico delle visioni di Petrus, mentre opere a contorni netti e tinte sature e piene (olii) si alternano ad altre campite da tratti morbidi e cromie tenui e velate (acquerelli). Si moltiplicano le presenze di architetture internazionali che trasformano alcune opere e alcuni accostamenti in precisi riscontri sull’architettura e la sua storia. Come l’accostamento di architetture di Giuseppe Terragni e di Ilya Alexandrovich Golosov. Anche il ventaglio cronologico travalica ormai da tempo quello compreso tra le due guerre con cui era iniziata la fortuna critica dell’artista.  Petrus’ Milano, che si tiene a Mosca nel 2008, con uno scritto di Fulvio Irace e una prima puntuale biografia di Pia Capelli, decreta ancora una volta l’attenzione internazionale per il pittore milanese e appare come il compimento simbolico dell’interesse di Petrus per l’architettura sovietica, la quale però non è tra i soggetti esposti. Sono infatti i palazzi di Milano a essere portati in Russia in una sorta di percorso concettuale opposto e parallelo a quello che era avvenuto a Como l’anno precedente. Significativamente i soggetti appartengono quasi tutti agli anni venti e trenta, con poche eccezioni, a voler sancire un rapporto molto preciso tra due culture.

Marco Petrus Trieste al centro si inaugura a Trieste alla fine del 2009. Nel catalogo i saggi di Luca Beatrice e Francesco Cataluccio ricongiungono l’immaginario di Petrus all’architettura di Trieste, facendo emergere l’atmosfera mitteleuropea della città. E significativamente non sono solo gli edifici di Trieste a essere ritratti da Petrus – con composizione dall’upsidedown a tagli prospettici differenti, fino a qualche impaginato composto ortogonalmente – ma anche quelli di Budapest, Lubiana, Praga, Vienna. Alessandro Mendini, in occasione della mostra milanese Marco Petrus Synchronicity del 2011, riconnette il lavoro di Petrus alle suggestioni di De Chirico, Sironi, fino a Massimo Scolari e Arduino Cantafora. Il tema è quello dell’architettura dipinta, o meglio delle facciate degli edifici che si trasformano in macropitture ricongiungendo nuovamente le due discipline: l’architettura e la pittura. Le due mostre Dalle belle Città e Belle Città, rispettivamente a Roma e a Santa Fe nel 2012 e nel 2013 esportano in due contesti «altri» lo sguardo di Petrus. Se quella romana, accompagnata da un testo di Francesca Alfano Miglietti, introduce la visione dell’artista ai temi e ai protagonisti della città (ma oltre a Roma e i suoi protagonisti ricompaiono Milano, Firenze, Trieste), in quella nel Nuovo Messico un testo di Kenneth R. Marvel conferma ancora una volta l’interesse internazionale per Petrus e per le Belle città del Bel Paese, in una sorta di Grand Tour contemporaneo attraverso le tele dipinte.

Marco Petrus Atlas, alla Triennale di Milano nel 2014, vede l’ampliamento di un ideale atlante architettonico – come titola il saggio di Federico Bucci, che accompagna la mostra insieme a quello di Michele Bonuomo – in continuo ampliamento, con l’inclusione dei maestri storici e dei protagonisti contemporanei del dibattito architettonico. L’insistenza con la quale sono esplorati i dettagli geometrici della facciata di un edificio degli anni settanta (la Tour du Méditerranée dell’Atelier 9 a Marsiglia), annuncia quella riduzione del frammento rappresentato e della sua geometrizzazione che troverà un ulteriore sviluppo nella mostra napoletana Marco Petrus Matrici del 2014, a cura di Michele Bonuomo – con una testimonianza del regista napoletano Mario Martone sulle Vele di Scampia-. Gli edifici d’abitazione popolare realizzati tra gli anni sessanta e settanta dall’Architetto Franz Di Salvo, teatro di un conflitto sociale e culturale lacerante, sono infatti i soli protagonisti – non era mai accaduto prima – della mostra. Come sottolinea Bonuomo fin dal titolo del suo saggio – La calma bellezza delle Vele di Marco Petrus – lo sguardo dell’artista riconcilia l’edificio alla sua vocazione ideale, attraverso una serie di visioni cha passano dall’insieme fino ad arrivare a una serie di composizioni geometriche pressoché astratte, ma in realtà particolari dei prospetti dell’architettura.

Una ricerca che continuerà in parallelo alle altre figurazioni, tracciate con la cura di chi predilige gli strumenti della pittura. Petrus dipinge: usa i colori, i pennelli, le tele. L’affermazione non vuole assolutamente sminuire il costrutto intellettuale e disciplinare dell’artista, bensì esaltarne la fondatezza intellettuale e la saldezza di intenti, in una pratica, quella della pittura, in cui frequentemente la ricaduta concettuale ha impoverito fino a rimuoverla la sapienza materiale. Petrus pratica la pittura.