Marco Petrus | Biografia
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Marco Petrus. Biografia

Marco Petrus nasce a Rimini nel 1960, ma fin dalla prima infanzia vive con la famiglia a Milano. Figlio d’arte – il padre, Vitale Petrus (Kiev, 1934 – Milano, 1984), è un protagonista della scena artistica lombarda degli anni sessanta e settanta –, è interessato fin da giovanissimo all’architettura, oltre che alle sperimentazioni riguardanti le tecniche di stampa e di riproduzione artistica.

Si diploma al corso per assistente grafico dell’Umanitaria nel 1980 e al liceo artistico nel 1984, anno in cui si iscrive alla Facoltà di architettura al Politecnico di Milano, che frequenta per un breve periodo. Alla morte del padre, apre una stamperia d’arte, che diverrà luogo di incontri e frequentazioni con altri artisti, preludio del suo esordio pittorico nel 1991 con una personale a Milano.

I quadri del primo periodo sono caratterizzati da un uso fortemente marcato e insistito del segno, retaggio della sua formazione ed esperienza come incisore. In queste opere si intravede già però quell’immobilità quasi metafisica dell’architettura, che in seguito ne connoterà il lavoro come un costante “marchio di fabbrica”. Fin dai primi anni manifesta un grande interesse per l’architettura, e in particolare per quella milanese, soprattutto nel suo aspetto “archetipico-mitologico” tipico degli anni trenta e quaranta, nucleo fondante e anticipatore di quelli che saranno gli straordinari sviluppi urbanistici del capoluogo lombardo nei decenni successivi.

Col passare del tempo, il segno di Petrus va scomparendo, per lasciare spazio a un gioco sempre più rigoroso e lineare di colori scanditi da linee chiare e ben definite e da campiture piatte, in una ricerca di essenzialità e di linearità della composizione che via via caratterizzeranno la sua ricerca.

Tra la fine degli anni novanta e i primi duemila, la sua pittura subisce un nuovo scarto prospettico, aprendo il proprio sguardo analitico da una parte a indagare in maniera sempre più rigorosa la struttura stessa delle forme urbanistiche e architettoniche – arrivando a collaborare anche con istituti e facoltà di architettura di diversi paesi –, dall’altra giungendo ad abbracciare, col suo sguardo fortemente caratterizzato, esempi di forme urbanistiche recenti o meno recenti di molte città e megalopoli europee, americane e asiatiche, quasi si trattasse di tratteggiare una variegata mappatura delle infinite forme architettoniche esistenti nel mondo. Il suo lavoro sembra così prendere a tratti l’aspetto di una summa ragionata di tutte le tipologie urbanistiche possibili, rivisitate attraverso il peculiare stile pittorico dell’artista.

La sua svolta più recente lo porta, in un lavoro di crescente stilizzazione della forma, dapprima ad affiancare alle rappresentazioni urbane le loro “corrispondenze” sul piano dell’astrazione (linee, segni, semplici tasselli colorati, dove originariamente c’erano prospettive, angoli e finestre); quindi a “congelare” la forma stessa del paesaggio urbano in un puro gioco di stilizzazioni astratte.

In questo modo la pittura, col suo analizzare sempre di più lo “spazio” della forma a partire dalle icone del paesaggio contemporaneo, muta progressivamente anche il proprio linguaggio e il proprio approccio formale sulla tela, sganciandosi via via dalla semplice riproposizione figurativa di elementi e scorci del paesaggio urbano, per farsi, invece, ricerca rigorosa e impeccabile sulla “pura forma” architettonica.

Il lavoro di analisi della forma originaria diviene così il pretesto per una più vasta ricerca del senso stesso del dipingere e del rappresentare.

“Le città di Petrus, e dunque la sua pittura, sono fondate su un principio di equilibro, raggiunto dall’artista attraverso quella forte concentrazione formale che gli ha garantito la messa a punto di un intransigente canone pittorico. Così facendo, Petrus ha trasformato il sistema della rappresentazione in metodo di indagine del pensiero, piuttosto che in esibizione virtuosistica del vero (simile).”

Michele Bonuomo, Marco Petrus, stile di città, in Atlas, Johan&Levi editore, Monza 2014

“Quello che Marco Petrus ‘progetta’ è, in realtà, un modo di guardare, e in tal senso la sua ricerca è prevalentemente la ricerca di una struttura formale: la forma, difatti, è quella che in primo luogo fa apparire la materia. Per Petrus la forma è il ‘come’ della materia, e la materia è il ‘che cosa’ della forma, allora l’opera è un modo per conferire forma alla materia e farla apparire così e non in altro modo. Certamente non come ‘realmente’ è. Forse stiamo già passeggiando sul confine che separa la scienza dalla fantascienza. Ma esiste questo confine?”

Francesca Alfano Miglietti, Marco Petrus: Le Belle Città, in Dalle Belle Città, Edizioni First Gallery, Roma 2012

“Io vedo Petrus come un personaggio assolutamente contemporaneo, con una proiezione nel futuro che mi sembra poter procedere così ancora a lungo, perché il suo obiettivo non è, da architetto progettista, realizzare in una maniera arcaica un progetto che oggi si deve esprimere in una maniera diversa: lui agisce da pittore, vale a dire da persona che percepisce le cose col pennello e con la tela, e le sue sono delle interpretazioni, anche magari un po’ ossessive – perché c’è un’ossessione dentro questa fissità – di un mondo dove queste architetture sono delle anime, prive di persone. Qui troverei quasi un’analogia con Morandi. Questa è un’operazione autoterapeutica, zen: lo stare isolato, davanti a una tela, davanti a delle finestre, davanti a dei muri. Il soggetto che lui va a cercare, e del quale in un certo senso si innamora, quando se lo porta sulla tela diventa un messaggio per se stesso da scoprire. Credo siano cose che danno una grande soddisfazione, perché appunto non diventano mai formule, non sono formule. Come Morandi che, davanti a cinque bottiglie per tutta la vita, non ne ha fatto una formula. Per fare questo bisogna essere dei maghi.”

Alessandro Mendini, Mendini su Petrus, in Synchronicity, Milano 2011

“Marco Petrus ha uno sguardo, e una prospettiva, assai originali, che ha affinato in un percorso iniziato vent’anni anni fa e caratterizzato proprio da un processo artistico di riduzione all’essenziale. La sua pittura, sin dagli inizi, si è concentrata sulla rappresentazione di edifici della prima metà del Novecento: palazzi scarnificati, ridotti all’essenza delle loro forme geometriche, simulacri di un mondo e di una cultura del quale rimangono come solide testimonianze. Costruzioni all’apparenza prive di vita, forse quasi nemmeno più edifici per abitazione, ma perfetti contenitori del Nulla del nostro tempo. La luce che li investe, e che ricorda quella dei quadri di Edward Hopper, stende su di loro una patina di disumana astrazione. Petrus è un innovativo seguace del grande pittore americano.”

Francesco M. Cataluccio, Trieste e i simulacri della mitteleuropa, in Trieste al centro, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2009

“Partendo da Milano, Petrus ha imparato a riconoscere l’architettura nelle sue geografie planetarie: a riconoscere in essa, cioè, l’appartenenza al medesimo album di famiglia. Dal piano materiale l’ha ricondotta quindi sul piano concettuale: l’ha separata dal contesto. L’ha spiazzata per meglio riconoscerne l’appartenenza a un’idea universale. Ha fermato per questo le lancette dell’orologio, come nelle piazze d’Italia di de Chirico, bloccandola sul passaggio pericoloso tra fisica e metafisica. Come un pittore di icone, Petrus crede insomma nel valore salvifico dell’Architettura, fonte di mistero e di adorazione. Anno dopo anno, viaggio dopo viaggio, colleziona nel mondo elementi da aggiungere al suo carnet di naturalista; poi nel chiuso del suo studio, li estrae dalle teche di carta dove ne ha composto il ricordo e li mette in circolo nella grande opera della sua missione di pittore del sacro: la costruzione di un’iconostasi virtuale dietro cui celebrare il mistero dell’eterno accadere dell’Architettura.”

Fulvio Irace, Pittore di icone, in Petrus’ Milano, Edizioni Electa, Milano 2008

“Ci sono pittori che dipingono e pittori che costruiscono: artistes – peintres, come dicono i francesi, e peintres – architectes.
Petrus appartiene a questa seconda categoria. E non perché dipinge delle architetture, ma perché costruisce delle forme. L’architettura, certo, è il tema in cui la sua pittura si è identificata, e in cui ha trovato la sua cifra stilistica più necessaria, per non dire il suo mondo simbolico.”

Elena Pontiggia, Petrus, Pittore – Architetto, in Architettonica Petrus, Edizioni Electa, Milano 2007

“Quello dell’artista è una ricerca condotta sul filo della stilizzazione, attraverso un processo di costante sottrazione di elementi al caos cittadino: arrivando così a rappresentare, del paesaggio, soltanto “ciò che è necessario”- la sottile impalcatura simbolica di cui una città è fatta e di cui si nutre giorno dopo giorno.
Petrus ripercorre Milano con lo sguardo di chi non è interessato a coglierne che i singoli particolari, quegli angoli e quegli scorci che, nella loro asciutta e rigorosa solidità, contengono da soli l’idea stessa della città, la sua essenza più antica e immutabile.”

Alessandro Riva, Italiana 2003. La nuova scena artistica, in Italian Factory, la nuova scena artistica italiana, Edizioni Electa, Milano 2003