Alfano Miglietti,
Marco Petrus: Le Belle Città
in Dalle Belle Città, Edizioni First Gallery, Roma 2012
in Dalle Belle Città, Edizioni First Gallery, Roma 2012
Ogni vita è un’enciclopedia,
una biblioteca,
un inventario d’oggetti,
un campionario di stili,
dove tutto può essere continuamente rimescolato
e riordinato
in tutti i modi possibili.
Italo Calvino
Esistono modi molto differenti per raccontare lo spazio e la città e i suoi edifici, e nella pittura e nel cinema se ne possono individuare interessanti punti di snodo. La metropoli ha subìto tante modificazioni nella sua struttura e nel suo significato, quante nella sua raffigurazione. nel cinema, dalla rappresentazione distopica del futuro urbano in Metropolis, si arriva agli anni ottanta, alla fantascienza filosofica di Blade Runner, con la frattura operata dal cinema decostruito e re-immaginato dal postmodernismo. Tramite questa decostruzione ed ibridazione dei generi, la metropoli recupera la propria
visibilità e centralità in film come Blade Runner (appunto), Batman e Dick Tracy, i cui rispettivi ideatori delle scenografie, Syd Mead,Anton Furst e Richard Sylbert, hanno avuto la capacità di fare delle loro scene dei veri e propri manifesti programmatici, che riconducono idealmente alle dichiarazioni entusiastiche degli scenografi degli anni Venti.
Quello che Marco Petrus ‘progetta’ è, in realtà, un modo di guardare, e in tal senso la sua ricerca è prevalentemente la ricerca di una struttura formale: la forma, difatti, è quella che in primo luogo fa apparire la materia. Per Petrus la forma è il ‘come’ della materia, e la materia è il ‘che cosa’ della forma, allora l’opera è un modo per conferire forma alla materia e farla apparire così e non in altro modo. Certamente non come ‘realmente’ è. Forse stiamo già passeggiando sul confine che separa la scienza dalla fantascienza. Ma esiste questo confine?
Tutte le opere di Marco Petrus hanno la vitalità di appunti di viaggio, annotazioni poetiche di impressioni ricevute in un dato momento e in un certo luogo. Ecco, dunque, materializzarsi su tela, carta, tappeti, arazzi, e altri supporti, evocazioni di spazi, sensazioni, visioni, fissate come un diario a fogli liberi. Prende così corpo una struttura che comprende descrizioni, analisi, ricerche, foto, appunti, teorie suddivise in un unico percorso tematico:
scorci di edifici. Per comprendere la complessa natura del metodo di Marco Petrus occorre ricordare che egli tende a ridurre la complessità del mondo in un unico soggetto, con la conseguenza che la sua poetica possa intessere un nuovo rapporto con la realtà, verso riflessioni ed interrogativi sulla valenza simbolica di ogni singola opera. “Particolari di angoli di edifici, estrapolati dal contesto originario, sottolineano il ritmo e i rapporti chiaroscurali della composizione architettonica; elementi che diventano pretesto per
una reinterpretazione pittorica. Il processo di stilizzazione fornisce la basesupporto per una proposizione di cromie…”, scrive Petrus ed è la pittura, infatti, il centro di interesse e di indagine di Marco Petrus, la sua strutturazione, il suo linguaggio, la sua storia, le sue rivoluzioni. Le sue opere sono realistiche e, a un tempo, fantastiche, avventure di sguardi in cui prendono vita visioni e sperimentazioni. Petrus la pittura la ama e la conosce,Mondrian
e Hopper e De Chirico e tutta la storia di una rarefazione rigorosa e al contempo poetica.
Petrus sceglie come idea centrale attorno a cui ruotano tutte le sue opere la ‘presenza’ di un edificio forte, un edificio, come la ziqqurat in Blade Runner, o un’intera città, come la Gotham City di Batman, che si pone quale segno immediatamente riconoscibile ed identificabile, e che costringe lo spettatore a tener conto della sua presenza, anche per una piena comprensione della struttura pittorica. La ricerca di Marco Petrus si colloca nell’ambito di una struttura visiva del contemporaneo che si concentra sull’esperienza
della pittura, con particolare attenzione all’articolazione della dimensione spaziale, la rappresentazione del contemporaneo, attraverso scorci, particolari, angoli, aperture ed edifici che sembrano voler resistere alla disgregazione dei luoghi e delle forme tradizionali della socialità. Se nel reale sempre di più si dilata lo sprawl metropolitano e il moltiplicarsi di sobborghi ed enclave, Petrus sembra voler cogliere esclusivamente dei modi potenziali e introflessi di percepire lo spazio (nella fattispecie quello urbano) e si occupa di indagare il territorio metropolitano senza i conflitti che esso stesso produce. Una catalogazione sistematica, maniacale, ossessiva, a tratti claustrofobica, nella sua apparente casualità: Milano, Mosca, Londra, new York,Trieste, Roma, Praga, Lubjana… Petrus sa benissimo che la Città Contemporanea non è mai esistita se non come ripetizione all’infinito del già esistente: in quest’ottica può essere inquadrato lo scorcio, il particolare, il frammento, una serie di visioni che divengono contemporaneamente struttura pittorica e un concentrato di locations provenienti dall’intero pianeta: particolari di città che permettono a chi guarda di avere particolari di luoghi, in un unico luminescente sistema concettuale.
Molti filosofi e teorici dell’architettura hanno spesso parlato di citazione in relazione alle grandi città “postmoderne”, dove le epoche e gli stili dei singoli edifici o dei singoli elementi architettonici non risultano più riconoscibili e individuabili. In letteratura questo elemento è riscontrabile nel cyberpunk. Film come Blade Runner o Gattaca (nei cui edifici si riconosce ‘la mano’ di Frank Lloyd Wright) sono sicuramente emblematici in questo senso. Gattaca (Andrew niccol, 997) è stato girato al Marine County Civic Center, e i grandi spazi astratti dell’edificio di Wright sono al centro dell’azione e contribuiscono a generare la sensazione di ordine e pulizia di una società ossessivamente controllata.
Petrus è autore di una visione continua e a volte sotterranea che comporta la sospensione della priorità accordata nel novecento all’originalità e alla sperimentazione formale, in questo senso va inteso il suo sguardo, già da tempo formalmente codificato, che attribuisce allo stile un’importanza illimitata e piega il discorso sul versante referenziale del discorso narrativo. nelle opere di Marco Petrus si possono estrapolare e sottoporre al vaglio critico le rappresentazioni specificamente letterarie della città contemporanea, vista attraverso la lente di un’utopia postmoderna di trasparenza e attraversamento, ma allo stesso tempo capace di produrre al suo interno barriere e limitazioni, coperture e saturazioni.
Già dagli anni Settanta nelle opere di James G. Ballard viene narrata la costruzione di un’immagine della metropoli contemporanea in romanzi di impianto realistico in cui si possono individuare importanti nuclei tematici quali il nuovo spazio dell’abitare, la società del tempo libero, i sobborghi abitati dalla media borghesia. una serie di procedimenti stranianti in cui riemergono tratti e atmosfere della precedente produzione fantascientifica di Ballard, Petrus sembra agire visivamente nello stesso tipo di atmosfera: una serie di ‘esterni’ in cui si cerca di portare allo scoperto un’attiva circolazione di senso tra testo e contesto, di relazioni e influenze reciproche tra la percezione sociale dello spazio urbano e la sua rappresentazione. Petrus sembra voler suggerire, opera per opera, la relazione tra science fiction e realismo alla luce dell’esperienza pittorica, attraverso la coesistenza di orizzonti utopici e distopici nella rappresentazione di frammenti significativi di città, si indaga, cioè, un intimo e particolare rapporto tra pittura e paesaggio metropolitano.
Lo spazio naturale dell’uomo è messo in fortissima crisi già dalla letteratura del novecento, la perdita di ogni coordinata e la morte del concetto di luogo provoca l’implosione dell’identità individuale che si rinchiude in una città/mondo epicentro dell’esplosione dei segni nella letteratura postmoderna per poi approdare conseguentemente ad una totale smaterializzazione fisica che provoca follia cronica nell’uomo.
Camminiamo nelle nostre città e ogni giorno di più ci sentiamo spaesati, estranei ai suoi cambiamenti e alle sue ‘eternità’, in un cantiere di cementificazione continua, che assomma e affianca palazzi anonimi e edifici riconoscibili, e tutti sembrano voler nascondere la vita dei suoi abitanti chiusa nella propria solitudine. Sembra emergere la sensazione che nella città postmoderna non c’è spazio per le libertà, a partire da una trasformazione della vita quotidiana delle persone, e in questo senso l’opera di Petrus, così come quella di Ballard, sembrano indicare, nel modo più lucido, la parabola declinante della società contemporanea, e la stretta dipendenza di questo declino nei suoi luoghi.